Il Museo Etnografico

Musei

Il Museo Etnografico di Santarcangelo inaugurato nel 1981, nasce dal paziente ed appassionato lavoro di raccolta promosso ed attivato, dalla fine degli anni ‘60, da un gruppo di volontari, oggi in gran parte confluito negli “Amici Sostenitori del Museo”.

Nel I972 tale gruppo si organizza in un “Comitato Etnografico”, sotto la direzione di Giuseppe Sebesta, con lo scopo di gettare le basi per la costituzione di un museo.

Parallelamente alle ricerche sul campo ed al continuo lavoro di raccolta di materiali e reperti etnografici, si promuovono i progetti di recupero del macello comunale (costruito nel 1924), in quegli anni adibito a deposito municipale.

Nel I975, con un contributo della Regione Emilia Romagna, possono iniziare i lavori sostanziali di restauro dell’edificio e quindi un primo allestimento del Museo che sarà ampliato tra il 1987 e il I989 con la sistemazione di tutta l’area esterna e l’apertura di nuove sezioni e dei servizi didattici.

Nel I98I l’Amministrazione Comunale promuove un concorso per la direzione dell’Istituto museale di cui nel 1982 è approvato il primo statuto che ne definisce l’ordinamento e gli organi di gestione.

Risale al I985 l’apertura del Centro Etnografico per la Ricerca e la Documentazione (C.E.R.D.) e l’avvio e l’organizzazione sistematica delle campagne di studi ed iniziative didattiche. Il centro infatti dispone di una biblioteca ed emeroteca specializzate in demo-etno-antropologia e di importanti archivi delle fonti audiovisive, fotografiche ed iconografiche.

È del 1989 la presentazione al pubblico del nuovo percorso museale e del nuovo e ampliato allestimento.

Nel I990 inizia il progetto di didattica museale consistente in corsi d’aggiornamento per insegnanti, laboratori permanenti per la didattica delle tradizioni popolari, laboratori scuola/museo per i ragazzi.

Nel I992 il museo di Santarcangelo è sede del Convegno Internazionale di Museografia Etnografica “C.I.M.A. 10” dell’Associazione Internazionale di Museografia Agricola.

Dal 1994 l’Istituto diventa corrispondente del N.E.T., un network di musei europei, dopo aver partecipato, nella delegazione italiana, ai lavori del primo Convegno europeo di Museografia Etnografica tenuto a Parigi nell’aprile I993.

Il museo dal luglio I996 diventa “Istituzione” (Legge 142/1990) acquisendo autonomia gestionale, culturale, amministrativa e contabile. Il museo si dota quindi di un regolamento e di propri organi di gestione (Presidente, Consiglio di Amministrazione).

Il Museo Etnografico ha il compito di raccogliere, conservare e valorizzare le testimonianze demo-etno-antropologiche del territorio che rappresenta creando un centro di cultura e di ricerca.

Il Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna vuol infatti definirsi innanzitutto come momento vivo per la ricerca e la conoscenza della cultura di un popolo e ha come interesse principale quello di cogliere i vari aspetti che formano le tradizioni popolari (simbolismo, socialità, lavoro, ritualità, arte) di quell’area denominata Romagna meridionale.

Il Museo si compone di dodici sezioni espositive, che illustrano numerosi aspetti della vita lavorativa e domestica della famiglia romagnola.

 

I. CAMPO. – LAVORARE LA TERRA

L’agricoltore fin all’inizio della propria esperienza si servì di mezzi semplici per dissodare la terra e solo con l’avvento dei metalli riuscì a realizzare attrezzi più funzionali per aggredire il terreno. Lavorare la terra acquista, in molte culture, il valore di occasione privilegiata di dialogo con la natura e la terra.

 

2. CICLO DEL GRANO. – SEMINARE, MIETERE, TREBBIARE

Alla lavorazione del terreno seguivano: semina a braccio (poi con seminatrice meccanica a tiro animale); mietitura con falciola; raccolta; trebbiatura per la separazione dei chicchi della spiga e ventilazione per la separazione dalla pula; selezione dei grani per il trasporto al mulino e la semina successiva.

 

3. MULINO. – ACQUA, PIETRA E LEGNO

I primi mezzi per schiacciare le cariossidi da ridurre in farina, furono delle semplici basi fisse in pietra (levigatoi) sulla cui superficie piana e orizzontale, dopo aver collocato una manciata di grani, una pietra a forma di sfera o di pagnotta (macinello), li battesse, li spostasse o li spappolasse.

 

4. CICLO DELLA CANAPA. – FILARE E TESSERE

La filatura e la tessitura occupavano nell’esperienza popolare un posto di grande rilievo; con esse la donna concorreva spesso all’economia familiare in cui il lavoro femminile comprendeva, oltre a quelle della terra, tutte quelle occupazioni domestiche necessarie al sostentamento.

 

5. STAMPA SU TELA. – LA STAMPA SU TELA

Le tele di lino e canapa ebbero un ruolo economico fondamentale in quanto vennero utilizzate per la stampa a ruggine nella confezione di tovaglie e ancor più, seguendo un’antica tradizione, nella preparazione di coperte da buoi stampate con quadrettature geometriche con simboli di santi protettori.

 

6. ABBIGLIAMENTO POPOLARE. VESTIRSI, COPRIRSI, MASCHERARSI

L’abito costituisce un’espressione del codice di abbigliamento ed ha in sé una doppia valenza di cosa e segno. Austero o sgargiante, signorile o popolare, da festa o da lavoro, dimostra come nella tradizione popolare il senso estetico non vada disgiunto dal senso pratico ma ne tragga sempre felici ispirazioni.

 

7. FABBRO FERRAIO. – FORGIARE IL FERRO

Tutti i popoli hanno sempre dato una grandissima importanza al ferro, non solo a scopi semplicemente utilitari ma soprattutto per la difesa della loro vita e la salvaguardia della loro libertà. La specializzazione artigianale legata alla forgiatura e lavorazione del ferro è quella del fabbro ferraio.

 

8. MESTIERI DEL BORGO. – ENTRO LE MURA

Fin dall’antichità l’artigianato è stato il fondamento dell’attività trasformatrice del grezzo in prodotto finito. Atene e Corinto hanno avuto artigiani, così Cartagine e Roma. Intorno all’anno Mille, ha conosciuto il suo periodo più prospero, nei borghi soprattutto, dove il prodotto era destinato al fabbisogno locale.

 

9. LIUTERIA. – FABBRICARE STRUMENTI A CORDA

Ogni liutaio ha caratteristiche costruttive diverse sia per la specializzazione nella costruzione di un tipo di strumento, sia per la quantità e la qualità. La ricostruzione sintetica presentata nella sezione è della liuteria di Giuseppe Lepri (1896-1976) attivo a Santarcangelo ma apprezzato e ricercato anche all’estero.

 

10. CICLO DEL VINO. – RACCOGLIERE, PIGIARE, CONSERVARE

Il vino è spesso il protagonista della convivialità: presente nel simposio del mondo greco, sulla tavola del principe, nella festa popolare tradizionalmente presiede gli incontri fra uomini (osteria contratti, ecc.) e la sua “pertinenza” maschile lo indica come il migliore fra gli argomenti della virilità.

 

11. CASA RURALE. – ABITARE E PRODURRE

Nell’universo simbolico dell’esperienza umana contadina l’abitazione rurale è il contenitore di simboli di elevata potenza culturale e simbolo essa stessa nella sua globalità. In essa è sintetizzato simbolicamente il cosmo di una società di agricoltori e ne è riassunta semanticamente tutta l’esperienza esistenziale.

 

12. TRASPORTI RURALI. – PORTARE, TRASPORTARE, TRASFERIRE

Secondo la zona e la posizione sociale, la gente trasportava le merci in modi diversi. In generale i carichi erano portati dalle persone se queste non potevano servirsi di veicoli o animali oppure se il carico era leggero o breve la strada da percorrere, come nel caso in cui si andava a prendere l’acqua al pozzo o si portava il fieno.

All’interno del percorso espositivo sono poi in mostra due raccolte, uniche nella loro ampiezza e completezza, che costituiscono un patrimonio culturale di grande valore.

 

I tesori del Museo Etnografico

1. LA CAVEJA. – In metallo forgiato a mano, aveva il compito di bloccare il giogo al timone di aratri, carri, erpici con funzione di frenata. Svolgeva inoltre funzioni simbolico-rituali: riconoscere il sesso del nascituro, placare i temporali, difendere gli sposi, catturare le api, opporsi alle fatture. Nel museo sono in mostra le più rappresentative del patrimonio di 130 caveje possedute. Coprono un periodo che va dal XVI secolo agli anni Cinquanta e sono esposte secondo gli elementi iconografici che contengono: geometrie, fiori e animali, uomini e figure antropomorfe, simboli magico-religiosi.

2. BURATTINI NELLA TRADIZIONE . – Nel teatro d’animazione convivono differenti generi: burattini, marionette, ombre, pupazzi, fantocci, ciascuno con la sua storia, la sua caratterizzazione e la sua tecnica d’animazione. Le figure, circa ottanta, esposte nella nuova sezione del museo, provengono dalla collezione di Tinin Mantegazza e sono per buona parte fantocci appartenuti alle famiglie Stignani e Salici. Il materiale esposto rappresenta la memoria di un’arte popolare antica che sembrava perduta dopo l’avvento del cinema e della televisione e che invece da qualche tempo suscita rinnovato interesse e comincia a riproporsi con nuove modalità sia in teatro che a scuola.

Infine, il Museo Etnografico è organizzato dal punto di vista espositivo, in maniera tale da costituire un percorso particolarmente adatto per l’infanzia. Questo ha il compito di sottolineare, con un linguaggio semplice e immediato, lo stretto rapporto fra gli oggetti del museo e il territorio che li ha prodotti. Inoltre tutta l’esposizione accoglie modelli di attrezzature, macchine ed ambienti in miniatura.

 

Tratto da Storia di Santarcangelo di Romagna, Editore: Il Ponte Vecchio


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